Sapevate che in Giappone esistono statuette di terracotta preistoriche che raffigurano visitatori alieni in tuta da astronauta? Queste statuette, chiamate dogū, potrebbero rappresentare una delle prova dell'antica presenza di civiltà extraterrestri sul nostro pianeta. Se prendiamo come esempio una di queste statuette le caratteristiche “astronautiche” delle dogū sono descritte come «molteplici ed evidenti»:
- un casco munito di una visiera sagomata per schermare il passaggio della luce solare;
- un filtro per la respirazione all’altezza della bocca;
- un collare di collegamento tra il casco e la tuta;
- piccole tenaglie manipolatrici montate su teste snodate, al posto delle mani;
- valvole di raccordo per tubi disposte sul petto della tuta.
Uomini del neolitico non avrebbero di certo potuto immaginare e mettere insieme una tale mole di dettagli tecnologici di tute spaziali, se non li avessero osservati direttamente e da vicino.
L'ipotesi che i dogū rappresentassero antichi astronauti fu resa celebre da autori russi come Alexander Kazantsev e Vjaceslav Zajtsev negli anni Sessanta, ma i viaggi spaziali dell'antichità sono al centro di un intero filone della archeologia aliena, chiamato appunto degli “antichi astronauti”. Un esempio simile a quello delle statuette dogū, ma molto più conosciuto, è il cosiddetto “astronauta di Palenque”, un bassorilievo Maya che mostrerebbe un astronauta nell'atto di guidare la sua navicella spaziale, con tanto di comandi e motore.
Il principale sostenitore della teoria degli antichi astronauti è lo scrittore svizzero Erich von Däniken, autore di decine di libri sull’argomento, vincitore di un Premio Ig Nobel per la letteratura e ideatore perfino di un parco dei divertimenti pseudoscientifico, lo Jungfrau Park di Interlaken (precedentemente noto come Mystery Park).
Secondo von Däniken e i suoi colleghi, gli alieni volanti del passato hanno lasciato tracce anche delle loro “piste di atterraggio”. Si tratta delle famose “linee di Nazca”, sulla costa desertica del Perù meridionale: disegni lunghi centinaia di metri, ottenuti scavando la superficie rocciosa più scura e facendo emergere quella più chiara del terreno desertico sottostante.
Nel libro Gli extraterrestri torneranno von Däniken suggerisce che i disegni di Nazca «potrebbero anche essere stati costruiti secondo le istruzioni ricevute da un velivolo» e naturalmente la possibilità non ci mette molto a trasformarsi in certezza: «vista dall'alto, l'impressione precisa che mi ha fatto la piana di Nazca, lunga sessanta chilometri, è stata quella di un aeroporto».
Le discussioni sugli antichi astronauti ci servono per aggiungere un nuovo elemento alla nostra affollata cassetta degli attrezzi. Per una volta sarà uno strumento pratico anziché filosofico: lo abbiamo chiamato “contestualizzatore”.