Da decine di anni non si registrava in America l’uccisione di un “capo”. La cosa nostra statunitense aveva, molto prima di quella siciliana, compreso e scelto la strategia dell’inabissamento. Ma questa esecuzione cambia tutto
Una cosa tra loro”, quindi “cosa nostra”. Così il più noto boss italoamericano, Lucky Luciano (all’anagrafe Charles Luciano), definì la mafia americana, intercettato con un affiliato mentre spiegava la ristrutturazione dell’organizzazione mafiosa del dopoguerra negli Stati Uniti.
Da allora cosa nostra negli States si è ramificata sempre più, sino ad arrivare alla nota divisione in cinque famiglie, i cui capi sedevano in una rivisitata “cupola” dal chiaro sapore siciliano. La cosa nostra americana, infatti, ha sempre tenuto forti rapporti con quella “made in Sicily”, pur mantenendo una assoluta autonomia.
L’assassinio del boss di una delle più importanti famiglie mafiose statunitensi, l’italoamericano Francesco Paolo Augusto Calì (noto per tutti come Frank Calì), ripropone all’attenzione degli inquirenti Usa un omicidio eccellente nella città di New York.
Da decine di anni non si registrava sul territorio americano l’omicidio di un “capo”. La cosa nostra statunitense aveva, molto prima di quella siciliana, compreso e scelto la strategia dell’inabissamento. Gli agguati mortali, seppur presenti nel corso degli ultimi anni, riguardavano figure di secondo o terzo piano, rispetto a personaggi del calibro di Frank Calì.
Il 53enne Calì, ucciso ieri davanti alla sua residenza di Staten Island, era uno dei più noti boss della famiglia Gambino. La moglie era una Inzerillo, sorella del più noto Pietro, ucciso negli anni ottanta e fatto ritrovare con in bocca una banconota da cinque dollari.
Calì, appena pochi anni fa, aveva cercato di prendersi la cosa nostra palermitana, proprio con l’aiuto degli “scappati”, ovvero i boss sopravvissuti, sfruttando l’esilio statunitense, alla guerra stravinta a suon di morti dai corleonesi. Fra i primi a tornare in Sicilia il nipote di Calì, figlio di Pietro Inzerillo, che aveva inaugurato il “ritorno” degli scappati e che era stato poi seguito da molti altri.
Nel 2003 la cosa nostra siciliana si divise fra chi intravedeva nei boss d’oltreoceano una nuova prospettiva d’affari (come Salvatore Lo Piccolo, che sperava di scalare la cupola siciliana con il loro aiuto) e altri boss che temendo ritorsioni restarono fedeli a Riina e Provenzano. Fino all’interessamento, fin troppo “rumoroso”, di Frank Calì, intercettato dagli inquirenti americani. Calì aveva preso le redini della famiglia Gambino, che erano storicamente di John Gotti, morto nel 2002 dopo una condanna – fra le altre – per dodici omicidi.
Nel 2003 la cosa nostra siciliana si divise fra chi intravedeva nei boss d’oltreoceano una nuova prospettiva d’affari (come Salvatore Lo Piccolo, che sperava di scalare la cupola siciliana con il loro aiuto) e altri boss che temendo ritorsioni restarono fedeli a Riina e Provenzano. Fino all’interessamento, fin troppo “rumoroso”, di Frank Calì, intercettato dagli inquirenti americani. Calì aveva preso le redini della famiglia Gambino, che erano storicamente di John Gotti, morto nel 2002 dopo una condanna – fra le altre – per dodici omicidi.
Le altre storiche famiglie italoamericane sono i Genovese, i Lucchese, i Colombo e i Bonanno. La famiglia Gambino fu fondata da Salvatore “Totò” D’Aquila nel 1910, e – secondo gli inquirenti – oltre a Frank Calì ha come capi Domenico Cefalù e Joseph Corozzo. I Bonanno hanno sempre avuto nel traffico di sostanze stupefacenti e nell’edilizia i loro interessi forti, espandendosi in tutti e cinque i borghi di New York: Bronx, Manhattan, Brooklyn, Queens e Staten Island.
La famiglia Genovese, fondata da Lucky Luciano, divenne la più forte, investendo tantissimo nel gioco d’azzardo. Anche i Genovese erano attivi, come i Gambino, in tutti i cinque borghi di New York City.
La famiglia Lucchese, che fu fondata nel 1922 da Tommy (all’anagrafe Gaetano) Reina, oggi si estende fra il Bronx, Manhattan e Brooklyn e ha fra le sue attività illegali quelle degli “affari di strada”: rapine, usura e ricettazione.
La famiglia Bonanno è una delle più antiche famiglie mafiose e nacque in Sicilia, a Castellamare del Golfo, negli ultimi anni dell’Ottocento. I Bonanno ebbero un momento di grande potere negli anni trenta del Novecento, con la guida di Salvatore Maranzano, poi ucciso da Lucky Luciano. Attività prevalenti sono da sempre narcotraffico (tanto da essere la famiglia “ponte” con cosa nostra siciliana nell’operazione “pizza connection”) e l’usura. I borghi in cui è presente a New York sono quattro, Manhattan, Brooklyn, Queens e State Island, ma vanta anche una forte espansione in Canada.
La famiglia Bonanno è una delle più antiche famiglie mafiose e nacque in Sicilia, a Castellamare del Golfo, negli ultimi anni dell’Ottocento. I Bonanno ebbero un momento di grande potere negli anni trenta del Novecento, con la guida di Salvatore Maranzano, poi ucciso da Lucky Luciano. Attività prevalenti sono da sempre narcotraffico (tanto da essere la famiglia “ponte” con cosa nostra siciliana nell’operazione “pizza connection”) e l’usura. I borghi in cui è presente a New York sono quattro, Manhattan, Brooklyn, Queens e State Island, ma vanta anche una forte espansione in Canada.
L’ultima famiglia delle “cinque” è la più giovane, ovvero quella dei Colombo, fondata nel 1928 da Joe Profaci e attiva da sempre, in particolare a Brooklyn. L’omicidio di Frank Calì segna un punto di non ritorno nella strategia di cosa nostra americana e fa temere una serie di ripercussioni, di vendette ed omicidi.