Cine OttO Settembre | CiaoRinoTV | a cura di antonio BARBUTO ( Tenente Veterano dell'Arma di Cavalleria di Linea)
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Nel grande mosaico della fine di Benito Mussolini si inserisce un nuovo tassello. Esso riguarda un retroscena rimasto sconosciuto anche agli storici. Nell’ultimo scorcio del conflitto, preparandosi all’ormai inevitabile sconfitta, il dittatore vendette segretamente l’unico suo vero patrimonio personale: il giornale Il Popolo d’Italia, che aveva redazione e stabilimenti tipografici a Milano. Salvo la testata, che non fu oggetto di transazione, il Duce cedette l’intero 'pacchetto' all’industriale Gian Riccardo Cella, vicino al senatore e giornalista Alberto Bergamini, monarchico antifascista.
Ciò che riemerge è il ruolo avuto nell’operazione dai servizi segreti...[Continua a Leggere CliccaQui]
Luigi Longo, comandante in capo di tutte le brigate Garibaldi, secondo Tompkins, sarebbe giunto sul posto subito dopo la duplice uccisione, avrebbe architettato una “finta fucilazione” e la versione dell'uccisione “per errore” della Petacci, per poi legare al segreto per cinquant'anni tutti i partigiani presenti. A tal proposito non si può non tener conto della ricostruzione fornita nel 1993 da Urbano Lazzaro, il partigiano “Bill”, vice commissario politico della colonna partigiana autrice della cattura, nella quale si dichiara che il personaggio presentatosi a Dongo il 28 aprile 1945, con il nome di battaglia di "Colonnello Valerio" fosse proprio Luigi Longo e non Walter Audisio, come comunemente si sostiene.
La versione di Bruno Lonati è tuttavia contraddetta, oltre che dalla versione storica di cui è fatto cenno in premessa, anche da altri elementi:
- Dall'autopsia effettuata a Milano il 30 aprile 1945, dal prof. Caio Mario Cattabeni, che ha rilevato almeno sette fori di entrata di proiettili sul corpo di Benito Mussolini, mentre Lonati ha affermato di aver sparato non più di quattro o cinque colpi.
- Dagli ulteriori esami effettuati dal prof. Pierluigi Baima Bollone sulle fotografie dei cadaveri sospesi al traliccio di Piazzale Loreto, che attesterebbero non solo l'esistenza di una raffica di mitra sui due corpi, ma anche l'effettuazione del colpo di grazia a mezzo pistola.
- Dal rilevamento di due proiettili da pistola, 9 corto, nel corpo di Claretta Petacci, nel corso della riesumazione effettuata il 12 aprile 1947, incompatibile con i proiettili del mitra Sten calibro 9 Parabellum, che il Lonati asserisce fosse imbracciato dall'esecutore dell'omicidio.
- Dalla circostanza che, in realtà, i partigiani incaricati a sorvegliare Mussolini e la Petacci, in casa De Maria furono soltanto due ("Lino" e "Sandrino"), mentre invece Lonati racconta che il suo "commando" ne avrebbe immobilizzati tre, prima di effettuare la duplice uccisione;
- Dal parere dell'anatomopatologo Luigi Baima Bollone che non ritiene decisiva la circostanza della mancanza di cibo nello stomaco di Mussolini, in rapporto alla determinazione dell'orario dell'esecuzione.
- Dal silenzio dell'ambasciata britannica più volte interessata dallo stesso Lonati per la conferma della sua versione, una volta scaduti i cinquant'anni dai fatti.
- Dal rifiuto di rilasciare dichiarazioni a suo favore, da parte dell'unico partigiano del "commando", ancora vivente all'epoca della trasmissione trasmessa dal canale televisivo "Rai Tre" nel programma "Enigma", del 31 gennaio 2003.
- Dalla mancata conferma della “macchina della verità”, cui si è sottoposto il Lonati stesso nel corso della trasmissione suddetta.... [Vai alla pagina del sito clicca qui]
Nato a Legnano il 3 giugno 1921, il partigiano ebbe un ruolo di rilievo nella resistenza, tra Valle Olona e Milano, e fu tra i comandanti della 101esima Brigata Garibaldi. Nel 1994 pubblicò per la casa editrice Mursia il libro dal titolo “Quel 28 aprile. Mussolini e Claretta: la verità”, in cui raccontava di aver fucilato il duce su ordine di un ufficiale inglese, il misterioso «capitano John», nell’ambito di una missione segreta il cui obiettivo sarebbe stato quello di distruggere il carteggio tra Winston Churchill e Benito Mussolini, per impedirne la diffusione...[Vai all'articolo clicca qui]
Verso le ore 16 del 27 aprile 1945, nella piazza di Dongo, durante l'ispezione della colonna tedesca fermata poche ore prima a Musso, dai partigiani della "Luigi Clerici", Mussolini viene riconosciuto e preso in consegna dal vicecommissario di brigata Urbano Lazzaro "Bill" che lo accompagna nella sede comunale, dove gli viene sequestrata la borsa di cui è in possesso.
Questa borsa a quattro scomparti, oltre a quattro cartelle piene di documenti riservatissimi, contiene un milionesettecentomila lire in assegni (Lit. 2.469.675.000 circa, 1.275.481 € odierni, attualizzati confrontando il costo del Corriere della Sera nel 1945 a quello di marzo 2022) e centosessanta sterline d'oro (19.200 £ odierne circa, ovvero 23.040 € odierni, se attualizzati confrontando il costo del quotidiano Evening Standard nel 1945 a quello medio -0,50 p.- fra tre principali quotidiani londinesi a marzo 2022, considerato anche che la Sterlina era divisa in 240 pennies nel 1945, e in 100 dal 1971; oppure, e più aderente al valore reale, 64.960 € odierni, se stimate al valore del 2022 di una sterlina d'oro Giorgio V, conio del 1932). Subito dopo, il capo di stato maggiore della brigata, Luigi Canali, nome di battaglia “Capitano Neri”, ordina di radunare in municipio i bagagli dei ministri al seguito di Mussolini, nonché le valigie trovate sull'Alfa Romeo del prefetto Luigi Gatti, già segretario del duce, che risulteranno piene d'oro, gioielli e valuta. Il bottino di guerra è affidato dal Canali in custodia, con ordine scritto, alla partigiana Giuseppina Tuissi "Gianna", sua compagna, che è altresì incaricata di curare la raccolta dei valori ancora in possesso dei gerarchi rimasti sul luogo della cattura.
Tali valori furono inventariati il 28 aprile 1945, dalla Tuissi e dall'impiegata comunale Bianca Bosisio, ma sia l'originale sia la copia andranno "perduti". I testi interrogati dalla magistratura tra il 1946 e il 1947, dichiareranno genericamente che era stato raccolto un notevole quantitativo di moneta cartacea ed aurea, italiana e straniera e un buon numero di oggetti di pregio, tra i quali i gioielli di Claretta Petacci.
Nel tardo pomeriggio del 28 aprile, il “Capitano Neri”', firmò un ordine di consegna temporaneo di tutti i beni recuperati e inventariati dalla Tuissi, alla federazione comunista di Como, di cui era responsabile Dante Gorreri.